Nel cuore dell’Emilia, tra le colline di Parma e Reggio, ogni forma di Parmigiano Reggiano è una piccola opera d’arte. Un prodotto millenario, venerato nei mercati globali, ma anche uno dei più imitati e contraffatti al mondo. In un’epoca in cui il cibo viaggia più delle persone che lo producono, come possiamo essere sicuri di ciò che ci arriva nel piatto? La risposta potrebbe venire da una tecnologia che fino a pochi anni fa associavamo solo a criptovalute: la blockchain.

Spiegarla senza finire in tecnicismi? Immagina un registro digitale pubblico, trasparente e incorruttibile, dove ogni passaggio della vita di un prodotto viene tracciato: dalla mungitura della mucca alla stagionatura, fino allo scaffale del supermercato. Ogni operazione viene registrata in una catena di blocchi di dati collegati tra loro, e ogni modifica è visibile e irreversibile. Non puoi cancellare, non puoi mentire. È come un libro contabile impossibile da falsificare. Ed è proprio su questa logica che si basa l’ultima rivoluzione nel mondo del food.

Nel 2022, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha fatto qualcosa di incredibile: ha introdotto microchip blockchain direttamente nelle forme di formaggio. Sì, hai letto bene. Un chip invisibile, sicuro, persino commestibile, viene inserito nella placca di caseina – il “documento d’identità” della forma – e da quel momento ogni sua informazione è registrata digitalmente. Dove è stato prodotto, da quale caseificio, con quale latte, in quale data. Tutto tracciabile, tutto consultabile. Un buyer in Giappone può verificare l’autenticità della forma in pochi secondi, un ristoratore a New York può avere la certezza di servire il vero Parmigiano Reggiano.

Ma la blockchain nel cibo non serve solo a proteggere dai falsi. È uno strumento potentissimo per la trasparenza e la sostenibilità. Il consumatore può conoscere l’intera storia del prodotto che sta acquistando. Si combatte così la concorrenza sleale del cosiddetto “parmesan” industriale. Si valorizza il lavoro delle aziende agricole italiane. Si premiano le filiere oneste. E soprattutto, si apre una possibilità concreta: estendere questo sistema ad altri prodotti DOP, DOC, IGP, persino al vino, all’olio extravergine, alla pasta.

Presto, potremmo inquadrare un semplice QR code sul packaging e vedere la stalla dove è stato munto il latte. Sapere quanti chilometri ha viaggiato quel prodotto. Verificare le certificazioni. Tutto in tempo reale. E non è un’utopia: aziende e consorzi ci stanno già lavorando. È food-tech che non cancella la tradizione, ma la protegge. Certo, qualcuno potrà dire che il fascino di un formaggio artigianale si perde un po’, che il chip nella forma non ha lo stesso sapore della storia raccontata dal casaro. Ma è davvero così?

Forse dobbiamo rivedere l’idea romantica di autenticità. Forse fidarsi non basta più. Non perché il mondo sia diventato cattivo, ma perché è diventato veloce, globale, impersonale. E in questa velocità, sapere da dove arriva quello che mangiamo è un gesto rivoluzionario.

Il Parmigiano Reggiano parla oggi una lingua nuova: è diventato digitale. Non ha perso il suo sapore, ha solo guadagnato un passaporto intelligente. E forse è proprio questo il punto: la tecnologia non è il contrario della tradizione. È il suo alleato. Perché in un mondo dove tutto può essere copiato, il vero lusso è poter dimostrare l’origine.

Il futuro, insomma, è tracciabile. E può anche essere DOP.

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