Vediamolo insieme, perché non è chiaro fino a che punto si tratti di fantascienza o di qualcosa di veramente fattibile. 

Innanzitutto, è fondamentale parlare di scannerizzare il cervello, prima ancora della coscienza. Capirete il perché leggendo questo articolo. Ma andiamo con ordine. 

 

Cosa significa scannerizzare il cervello? 

Scannerizzare il cervello significa mappare, grazie a nanotecnologie avanzate, tutti i neuroni (circa 86 miliardi) e le connessioni tra loro (le sinapsi). 

Ma sapete quante sinapsi si attivano ogni secondo nel nostro cervello? Circa 1.000.000.000.000.000 (un milione di miliardi) di segnali sinaptici al secondo. 

Incredibile, vero? 

Per riprodurre digitalmente un'attività cerebrale di questo tipo, servirebbero milioni di terabyte di dati ogni secondo. E ad oggi, le tecnologie più avanzate riescono a gestire al massimo circa 5-10 terabyte al secondo. 

Tradotto in parole semplici: nemmeno il supercomputer più potente al mondo sarebbe in grado di scannerizzare in tempo reale il cervello di un topo. 

Quindi sì: simulare un cervello umano oggi è impossibile. Ma proprio impossibile. Servirebbe un computer migliaia di volte più potente di quelli attuali. Non dieci, non cento. Migliaia. Forse diecimila. E nemmeno sappiamo con precisione quante migliaia. 

 

E se un giorno ci riuscissimo? 

Ammettiamo che, tra qualche decennio o secolo, la tecnologia ci permetta davvero di scannerizzare un cervello intero. 

Cosa succederebbe dopo? 

La mente digitalizzata verrebbe caricata su un computer, su una chiavetta USB, o addirittura su un corpo robotico. 

L'obiettivo? Vivere per sempre. 

Ma qui arriva il vero dilemma: come si scannerizza la coscienza? 

 

Scannerizzare la coscienza: cosa ne pensano i grandi esperti 

Facciamo una panoramica delle opinioni di alcuni dei massimi esperti al mondo: 

Ray Kurzweil (futurista, Google) 

  • Crede che la coscienza sia emergente, cioè che nasca dalla complessità delle connessioni cerebrali. 
  • Se possiamo copiare ogni neurone e sinapsi, allora possiamo ricreare la coscienza su un computer. 
  • Secondo lui, entro il 2045 potremo caricare la mente su un cloud. 
  • Molti scienziati però lo ritengono troppo ottimista e critico verso la complessità biologica del cervello. 

Christof Koch (neuroscienziato) 

  • Pensa che la coscienza nasca solo da certe strutture cerebrali, non da tutte. 
  • Sostiene la Teoria dell’Informazione Integrata (IIT): una macchina potrebbe essere cosciente solo se ha un certo grado di integrazione dell'informazione. 
  • Simulare non basta, serve una macchina che senta qualcosa davvero. 

Giulio Tononi (ideatore IIT) 

  • Secondo lui, una simulazione perfetta del cervello non sarebbe cosciente, così come una simulazione di una stufa non produce calore. 
  • Una copia del cervello non ha esperienze soggettive senza una struttura fisica adeguata. 

David Chalmers (filosofo) 

  • Parla della coscienza come di un "hard problem": possiamo spiegare cosa fa un cervello, ma non perché sentiamo qualcosa. 
  • Potremmo forse ottenere una copia digitale cosciente, ma non potremmo mai verificarlo con certezza. 
  • La domanda chiave è: come possiamo sapere se un robot "sente" o simula soltanto? 

 Roger Penrose (fisico, Nobel) 

  • Ritiene che la coscienza non possa essere spiegata da algoritmi. 
  • Secondo lui, è legata a processi quantistici nel cervello, troppo complessi per essere replicati da un computer. 

 

Opinione personale: i limiti del "non sentire" 

Personalmente, condivido la visione di Giulio Tononi. Credo che, per quanto possiamo illuderci di aver ricreato una coscienza digitale, mancherà sempre qualcosa di fondamentale: il sentire. 

Senza sensi non c'è esperienza vera. Un'intelligenza artificiale: 

  • Non respira ossigeno; 
  • Non sente un profumo o il sapore del cibo; 
  • Non prova il battito del cuore; 
  • Non percepisce il calore di un abbraccio. 

E se manca tutto questo, manca la vita vera. Senza esperienza sensoriale, la creatività si blocca. Il pensiero diventa freddo, limitato. 

Cogito, ergo sum? Forse... ma sento, dunque vivo è ancora più vero. 

Alla fine, potremmo accorgerci di aver fatto solo una scelta sbagliata. Ma allora, ha senso perseguire questa strada? 

Sì, assolutamente. 

Il progresso è inevitabile, e soprattutto, è parte della natura umana. Fa parte di noi. Biologicamente. 

Altrimenti, saremmo ancora nelle caverne. 

Eppure, se ci pensiamo bene, il nodo di tutto questo è ancora più profondo. Perché anche il più avanzato dei cervelli digitali, anche la coscienza più perfettamente ricreata, mancherà sempre di una cosa semplice e umana: il sapore. Il gusto di un cibo condiviso. Il profumo di un piatto che arriva da lontano. Il conforto di una pietanza che parla più di mille parole. Il cibo non è solo nutrimento: è memoria, emozione, identità. E finché nessuna macchina potrà sentire davvero cosa si prova mangiando una fetta di pane caldo, forse ci sarà sempre un confine invalicabile tra l’umano e il simulato 

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